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    15.12.2008 - SERATA DI GRANDE RAFFINATEZZA CULTURALE PER LA CONSEGNA DEL PREMIO DI POESIA E CULTURA A VALERIO MASSIMO MANFREDI
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    Giacca di velluto marrone e jeans blu: si è presentato così ieri sera sul palco del cinema Diana Valerio Massimo Manfredi a ritirare il premio “Poesia e cultura Città di Ispica”, giunto ormai alla XIV edizione. Introdotto sul palco dalle giornaliste Rai Laura e Silvia Squizzato e dai testi di Eschilo, Sofocle, Euripide e Shakespeare messi in scena dalla compagnia G.o.D.o.T. di Ragusa sotto la direzione artistica di Federica Bisegna e Vittorio Bonaccorso, l’archeologo e scrittore modenese è stato premiato dalla giuria presieduta dal sindaco Piero Rustico e composta da Marisa Moltisanti, Massimo Dibenedetto, Tommaso Oddo, Giovanni Di Stefano, Innocenzo Leontini, Mariella Muti, Roselina Salemi, Andreas Steiner. “Sono già cittadino siracusano onorario. Sono originario di un mio paesino del modenese dove mia mamma a 84 anni ogni mattina zappa l’orto ed è più forte di tutti. La peggiore vergogna per un figlio è dilapidare il tesoro lasciato dal padre: per questo noi siciliani e italiani dobbiamo difendere la nostra eredità naturale ed artistica. Associo il paesaggio ispicese al ricordo di Pantalica, al ricordo di quegli oleandri selvatici nella necropoli. Quelle della città nelle cave erano comunità che seppellivano i morti nella roccia non nella terra e che dialogavano con la natura”. Poi risponde alle domande della giuria e del direttore di “Archeologia Viva” Piero Pruneti e del prof. Sebastiano Tusa e si racconta. “A uno studente della Loyola University che mi chiese a che serve il greco dissi a nulla, ma per questo è indispensabile. Scilla, Cariddi, le Sirene e il Ciclope non esistono ma noi saremmo infinitamente piccoli senza l’Odissea”. Parla poi di Alexandros, 4 milioni di copie vendute, trilogia tradotta in 33 lingue: “Mi ha cambiato la vita. In quell’Alessandro c’è Valerio Manfredi. Ma anche nel cavallo e nel generale di Alessandro c’è Manfredi. E tutti i lettori si sono sentiti Alessandro. Non a tutti la sorte regala la vita di Platone o di Cesare ma la letteratura permette loro di esserlo”. Parlando di “Idi di Marzo” premio Bancarella 2008 dice: “La storia non si ripete. C’è una forte componente caotica. Napoleone fu sconfitto a Waterloo per la pioggia. Augusto diede più sicurezza e meno libertà. La stessa cosa che gli americani chiesero a Bush dopo l’11 settembre. Nell’Atene periclea democratica un semaforo rosso sarebbe stato dittatura oggi siamo troppi: è necessario il controllo. L’uomo nella globalizzazione è un come un bimbo viziato che sotto l’albero di Natale scarta regali con isteria”. Poi ancora: “Ho iniziato a scrivere per caso: mio nonno era narratore popolare, all’età di dieci anni sono stato chiuso in un collegio dove ho letto libri. Ricordo l’Odissea di Rossi con l’introduzione di Ungaretti e il Pinocchio di Collodi, non l’Isola dei famosi”. Dalla letteratura all’archeologia Manfredi ha appassionato la platea con il racconto degli scavi ad Ercolano, si è identificato in un possibile ritorno all’archeologia narrativa e in un possibile superamento della attuale fase di post-processualismo. “Ciò che appesantisce la ricerca archeologica è la lingua, unico simulacro di patria troppo difeso per 13 secoli. L’inglese è snello e immediato. Ricordo ancora quando il mio professore di tesi Cagiano De Azevedo inorridì perché scrissi manici a testa di anatra e non protomi anseriformi”. Disinvolto e ironico per tutta la serata, Manfredi si è commosso solo rispondendo a una domanda sul futuro dei giovani: “Mio figlio mi ha detto l’Italia non ama i giovani e li vuole frustrati. Io ho provato a convincerlo del contrario”.